Dalla keyword research alla keyword experience
by 8 Marzo 2019 7:20 3.9K views0
Ultimo aggiornamento 19 Aprile 2024
C’è il modo in cui vediamo le cose, quello in cui gli altri vedono le cose e infine ci sono “le cose”. Per Kant non possiamo conoscerle in quanto tali, ma solo per come le vediamo. Il problema è che ognuno le vede in modo diverso. Imparare a vedere le realtà che ci circondano per come vengono percepite dagli altri è un nodo focale della vita, non solo della SEO.
Se per quanto riguarda la vita ho poco da dire, sulla SEO mi sento di lanciarti un piccolo monito: fai il più possibile esperienza degli ambiti di ricerca correlati al sito web su cui stai lavorando, perché la partita della rilevanza si gioca in molta parte proprio sull’esperienza e sulle aspettative di persone di cui spesso sappiamo troppo poco.
Quanto contano i software
I software mentono, ma ci mettono sulla strada. Mentono perché nascondono, perché creano approssimazioni, perché possono fuorviarci, ma quelle approssimazioni ci offrono una prima direzione da seguire e ci indicano dove guardare. Accosto spesso la keyword research ad una caccia al tesoro e chi mi conosce sa che prendo molto sul serio le cacce al tesoro.
Una precisazione doverosa va fatta sul concetto stesso di keyword: a volte tanti utenti compiono esattamente la stessa ricerca usando gli stessi due o tre termini in fila. Quando ciò accade il volume di ricerca per questo piccolo agglomerato di parole tende a crescere finché un software come Semrush non lo rileva, mostrandocelo come keyword. Ciò detto, le keyword e tutte le loro variazioni riportate dai software che usiamo per i monitoraggi, sono solo una parte di tutte le ricerche effettuate. Ora, considerando che il 30% delle ricerche effettuate ogni giorno sono nuove, vale a dire, mai fatte prima, è facile intuire come spesso l’importanza che attribuiamo alle classiche keyword con volumi alti sia sopravvalutata.
Ambiente di ricerca
Al di là delle parole chiave tradizionalmente intese, esiste dunque l’ambiente generale di ricerca, che potremmo descrivere come l’alveo di TUTTE le query effettuabili su Google circa un determinato argomento di interesse. All’interno dello stesso ambiente di ricerca, si concentrano le esperienze diverse di tutti gli utenti interessati all’argomento. Di solito lo immaginiamo come l’orizzonte mentale a partire dal quale si genera una domanda di conoscenza. Il problema con la keyword research è credere che tutte le persone alla ricerca di una Volvo usata condividano lo stesso orizzonte mentale, cioè partano dagli stessi presupposti, abbiano grossomodo gli stessi interessi, perfino accedano all’internet con la stessa facilità.
Niente di nuovo mi dirai, esistono le diverse intenzioni di ricerca, ma non è tanto di questo che discuto, quanto degli interessi “altri”, quelli a monte del motivo preciso per cui stai cercando una Volvo usata. Di base certo mi interessa sapere se stai cercando un’auto a Km zero, se ne cerchi una degli anni ’80 o se te ne serve una incidentata, ma più in generale mi interessa sapere quali altri interessi hai “prima” di quello per la Volvo e se questi interessi ce li hai solo tu, o sono condivisi da altri.
Clusterizzazione
Si può ragionare di Personas, creando contenitori concettuali, appunto Cluster, in cui possiamo collocare tutte le persone che hanno le stesse caratteristiche. Studiando più a fondo potremmo cogliere che le persone interessate nella Volvo preferiscono un certo stile di arredamento, tendono a vestire certi indumenti e non altri, lavorano più spesso in certi ambiti che in altri e via dicendo, fino a disegnarci una o più mappe possibili riguardo le esperienze correlate a livello di interessi prima ancora che di ricerca organica.
Una volta individuate le caratteristiche di un cluster e colte certe peculiarità che come avrai capito vanno al di là delle mere intenzioni di ricerca correlate, puoi arricchire il piano editoriale con elementi pertinenti con tali esperienze di consumo altre, facendo attenzione a non annacquare il corpus dei contenuti del sito web su cui lavori. Se restando nell’esempio della Volvo, scopriamo (dico per dire) che chi la sceglie preferisce fumare i sigari cubani, non dobbiamo scrivere un contenuto centrato sui sigari cubani, perché sarebbe off topic, ma scriveremo di sigari all’interno di una pagina sulla Volvo, creando pertinenza e senza apparire schizofrenici. Qui si vede la bravura di un coprywater.
Come si individuano le esperienze di consumo correlate
Io parto da un tool molto valido che trovi su Semrush. Si chiama Topic Research e ne ho già parlato in passato perché ormai non posso più farne a meno. Ogni 10 anni esce un software che ti cambia la vita. Eccolo qua.
Non restituisce (solo) parole chiave, ma termini che compaiono nelle intestazioni di pagina associate alle ricerche correlate. Spesso coincidono con le parole chiave, ma tante volte si tratta di elementi testuali di per sé privi di volume di ricerca, che tuttavia introducono ambienti di ricerca diversi, ma interessanti per le stesse persone. Con un po’ di fortuna e aguzzando la vista, puoi vedere emergere domande apparentemente avulse dall’orizzonte di ricerca in cui ti trovi, ma estremamente interessanti per i contorni che definiscono.
È questo che intendo quando parlo di keyword experience: superare la mera individuazione di parole chiave correlate trascendendo le keyword stesse fino a catturare oggetti di conoscenza il cui valore non venga definito da un volume di ricerca, ma semplicemente dal significato che esprimono.
La keyword experience apre ad una visione meno legata ai valori numerici e più agli aspetti qualitativi esperibili con lo studio e l’osservazione.
Studio e osservazione. Poi, software.